giovedì 23 dicembre 2010

JD is back

ore 17:00 -- Partenza dal bat774, Ormes de merisiers, Gif-sur-Yvette
ore 17:15 -- bus di fortuna per Le Guichet
ore 17:30 -- RER B fino a Chatelet-Les Halles
ore 18:00 -- METRO 1 fino a Port Maillot
ore 18:45 -- bus fino a Paris-Beauvais Airport
ore 20:00 -- delay del volo di un'ora
ore 23:00 -- boarding
ore 23:15 -- scongelamento ali
ore 00:00 -- decollo
ore 01:10 -- arrivo a Bergamo
ore 02:00 -- Passaggio a Milano di fortuna (grazie Davide!)
ore 03:00 -- Arrivo a casa
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TOTALE -- 10 ore di viaggio, Parigi-Milano

Beauvais

Scrivo da Parigi, 22:33 aeroporto di Beauvais. L'ora di ritardo del volo per Milano ha come vantaggio la possibilità di documentare questo momento epico in questo luogo che epicamente dimostra come trasformare una cantina in un aeroporto!
In questo istante e' appena passata dalla scalinata in cui mi sono appostato una carovana di romani mentre dietro di me una ragazza di non ben identificata nazionalità continua a ripetere qualcosa come "Tak, tak, nabrojadosky kovalyoda! tameri neska Tak! Na tomovenia na.." .
Meraviglioso essere qui. Volti di ogni genere, vite che scorrono in questo luogo: una ragazza romana compra del vino per l'attesa, alla cassa un ragazzo fa cadere una colonna di rimmel e rossetti provocando caos e risate, un simpatico ometto di Roma che chiacchierando prende in giro una donna che poi si rivela magicamente italiana rimproverandogli di non aver fatto la fila. Tutto in pochi metri quadrati francesi. Voglia illimitata di chiedere "perchè sei qui a parigi?" al primo che passa. Tanti volti, tante esperienze che si mescolano quasi senza interagire. Ci si attraversa sempre, senza notare che ogni incontro ha una vita propria, racconta una storia che vorresti scrivere da qualche parte...
E' sconcertante che la gente non si fermi a chiedersi tutto questo, a chiedersi
perchè sta scappando correndo per le scale con la carta di imbarco fra le labbra.
Vado a cercare qualche risposta.

mercoledì 22 dicembre 2010

E' gia' successo.

Mi trovo in imbarazzo quando mi chiedono di cosa mi occupo. Probabilmente perche' cio' di cui mi occupo mi crea imbarazzo. Prima il problema era solo la complessita' della materia. La risposta al "di cosa ti occupi?" non poteva essere troppo stringata per scadere in filosofia banale ma non poteva neppure articolarsi troppo con la certezza di perdere l'attenzione di chi ascolta. Tuttavia, l'entusiasmo aveva il proprio ruolo perche' gia' in se', permette di trasmettere quantomeno la passione.

L' imbarazzo presente invece e' figlio di un fenomeno diverso perche' nel profondo, quello che temevo e' gia' successo. Praticamente ho smesso di fare fisica.
La ragione e' anche palese, dato l'ambito oggi. La ricerca di una teoria microscopica, che descrivesse le interazioni fondamentali della natura, ha raggiunto il collo della bottiglia con il Modello Standard. Le teorie fondamentali, per come le concepiamo oggi, sono in un certo senso poco maneggevoli perche' non siamo in grado di estrarre completamente tutta l'informazione che contengono quando vogliamo fare delle predizioni sui processi fisici.
E' un po la stessa condizione in cui si trova un ingegnere di fronte alle equazioni di Navier-Stokes, dato che le soluzioni si possono ottenere solo entro certe approssimazioni. Ciononostante, ci piace credere che dentro quelle misteriose equazioni, come dentro tutte le teorie microscopiche di cui dispone la comunita' scientifica, sia contenuta esattamente la logica con la quale gli eventi fisici si presentano. Ci piace crederlo.

Nel momento in cui ci viene fornita una teoria del genere, quindi, la sua fruibilita' e' limitata, in un certo senso. Questa limitazione, nel caso del Modello Standard, e' data precisamente dalla necessita' di usare una teoria perturbativa, la quale agisce da interfaccia fra la nostra abilita' di calcolo e la teoria stessa.
Esprimere le probabilita' di interazione fra particelle subatomiche (sezioni d'urto) come serie perturbative ci da una stima di quella che e' la predizione della teoria entro certi limiti. Diciamo che e' come noi avessimo una funzione sconosciuta
ma di cui possiamo calcolare i primi termini dello sviluppo di Taylor. E qui viene il bello. Quanti termini? Quanti termini pensate che possano servire? Pochi? Tanti? La risposta chiaramente dipende da quanto e' piccolo il parametro di espansione della serie! Ma in ogni caso, c'e' un limite fortissimo imposto dalla nostra limitata abilita' di calcolo ed e' due. In alcuni casi semplici, la gente si e' spinta oltre, ma diciamo che, almeno mediamente, due e' il massimo che sappiamo fare.

Sembra deludente, ma per molti non lo e', d'altra parte, ripeto, dipende da quanto e' piccolo il parametro di espansione: quanto piu' e' piccolo, tanto piu' l'approssimazione al second'ordine si avvicinera' al valore vero previsto dalla teoria in questione.
Qui casca l'asino. Tutti questi calcoli, sono solo calcoli. E' chiaro che alla fine di un ragionamento razionale volto a rispondere alla domanda "quanto fa?" ci deve essere un calcolo numerico, ma il problema e' che questi "calcoli" sono davvero lunghi, si parla di mesi o anni. Tutto sommato, questi "calcoli" alle volte rivelano strutture nascoste nella teoria e proprieta' inattese. Queste proprieta', che a volte possono essere delle relazioni con altre teorie, per fare un esempio, non solo rendono il calcolo molto piu' rapido e maneggevole (anche se stiamo parlando comunque di sforzi enormi lunghi mesi) ma aiutano a comprendere meglio la fisica soggiacente che stiamo studiando. Questo si che e' interessante! Arriva pero' il momento, e qui parlo proprio di OGGI, in cui tutti i conti "possibili" sono stati gia' fatti. Cosa si fa? Si fanno dei test con i dati sperimentali. Quando in fisica delle alte energie si parla di "fenomenologia", ci si riferisce proprio a questo genere di confronti.

Fare Fenomenologia, non significa dire "toh! a me viene 22,3 e lo sperimentale ha visto 21,4 +/- 1,2", questo perche' i dati da confrontare sono tantissimi. Per questo sono necessari dei codici numerici complicati (codici Montecarlo) che sfruttano i "calcoloni" per ottenere qualcosa di confrontabile con i dati provenienti dagli acceleratori adronici.

Quindi, alla fine, si tratta di far girare dei codici. Dov'e' la fisica? Dov'e' quell'ideale romantico dello scienziato che con carta e matita deriva le equazioni della natura? Non c'e' piu'...

venerdì 17 dicembre 2010

Roma, 14 Dicembre

E' una corda tesa la condizione dell'Istruzione in Italia.
Ricordo una manifestazione che ho vissuto personalmente 10 anni fa ad Agrigento. Eravamo circa in duecento studenti ad occupare il liceo scientifico "Leonardo da Vinci". Dopo una mattina di cortei per tutta la citta', era stato organizzato un dibattito sul tardo pomeriggio a cui partecipo' anche buona parte del personale docente del liceo. Durante l'assemblea, il rappresentante di istituto aveva appena citato gli episodi del '68 come parallelo al contesto politico del momento quando venne interrotto dall'intervento di uno dei docenti presenti. Dal modo in cui intervenì, evidentemente l'insegnante da giovane aveva vissuto quegli anni nella loro tragicita' ed il solo pensiero che le nostre mediocri ragioni avessero qualcosa da spartire con la contestazione degli anni di piombo l'aveva acceso e, direi, sconvolto. La sua era chiaramente la risposta di uno studente che aveva sofferto, negli anni '70 , il dramma che abbiamo rivisto a Roma pochi giorni fa.
"L'episodio del 14 Dicembre non puo' essere letto come caso isolato", citando lo studente che ha preso parte al dibattito di Annozero due giorni dopo, ma e' il risultato di una tensione maturata durante anni di politiche devastanti sul piano della Scuola e della Ricerca. L'Italia stessa oggi e' una corda tesa e la Scuola rappresenta la cartina tornasole di una condizione che permane ormai da anni. Emblematico l'intervento imbarazzante dell'onorevole La russa durante la stessa trasmissione, in risposta alle ragioni dello studente.
Il governo ha avuto il tempo per dare voce alla scuola fino a pochi giorni fa.
Il governo poteva evitare il dramma della rivolta studentesca semplicemente ascoltando. Tuttavia l'ascolto sembra essere qualcosa di troppo democratico per questo paese e si preferisce nascondere i problemi dietro l'ombra del banale a cui i media ci hanno assuefatto.
Ci si ritrova, adesso, in una situazione in cui le vittime sono TUTTI coloro che sono costretti a scendere in piazza, comprese sia le forze dell'ordine che i manifestanti, mentre i colpevoli scaldano comodamente la rispettiva poltrona, possibilmente scherzando e mettendosi in ridicolo.

L'attesa

Davanti alla fermata dell'autobus, la maggior parte della gente guarda nella direzione in cui l'autobus arrivera'. E' un gesto semplicissimo e innocuo, lo facciamo probabilmente quando abbiamo fretta o se non abbiamo altro di meglio a cui pensare. In molti leggono, ascoltano musica, parlano al cellulare, ma quasi tutti polarizzano lo sguardo verso quel punto. La cosa buffa e' che e' un gesto praticamente inutile, eppure non possiamo resistere alla tentazione di guardare.

Qualcuno potrebbe commentare dicendo "tu non ci vedi, certo che e' inutile!",
ma a parte la mia miopia (che effettivamente rende persino piu' inutile il gesto da parte mia!), di per se' rappresenta un'attitudine priva di senso, come del resto molte altre. Le possibilita' non sono poi cosi' tante: se l'autobus arriva, ce ne accorgiamo benissimo perche' ci passa sotto il naso, se l'autobus non arriva, il nostro fissare un punto lontano non cambiera' le sorti del mezzo.

Tuttavia, data la mia miopia, non posso garantire che le persone che aspettavano l'autobus con me stamattina stessero cercando in lontananza l'autobus o qualcos'altro che io non vedevo...

giovedì 16 dicembre 2010

Circostanze diverse

Un tizio una sera uscì di casa per andare a lavare i panni in una lavanderia automatica. Era nuovo del posto e non parlava bene la lingua locale. Non avendo mai usato una lavatrice a gettoni in vita sua, chiese informazioni alla gente intorno. Nessuno dei presenti alla lavanderia volle aiutarlo se non un'esuberante donna sulla cinquantina, anch'essa proveniente da un altro paese. Chiacchierando, la donna raccontò alcuni dettagli tristissimi della sua vita legati alle difficoltà di integrazione sociale presenti nel paese, alla povertà, alla morte del marito. Il tizio rimase tanto commosso che raccontò la storia agli amici e si dispiacque notevolmente di non aver offerto neppure una cena alla donna.

Due giorni dopo, lo stesso personaggio faceva la spesa in un centro commerciale, andava di fretta ma il caso volle che i due si incontrassero nuovamente. Quando la donna rivide l'ometto, ne approfittò immediatamente raccontandogli della sua copia del passaporto, dei cibi cancerogeni, di una commessa del centro commerciale che somigliava tantissimo a Sofia Loren e che gli avrebbe presentato dopo pochi istanti, di come va cucinata la carne rossa, del temperamento delle donne locali, del termosifone in casa, dell'aumento improvviso del prezzo del riscaldamento condominiale, di suo fratello, dell'agenzia immobiliare a cui aveva venduto vari mobili ecc. ecc.
- Grazie Signora, ora continuo a fare la spesa per stasera - disse il tizio, - Ah ma la accompagno volentieri! -.

Tornato a casa con un notevole ritardo, il fortunato uomo di casa aveva scambiato l'accorata sensibilità di due giorni prima nella lavanderia
con un leggero fastidio. Circostanze diverse, emozioni diverse.

Fil Rouge

Creare un fil rouge significa approfittare di un'invisibile smagliatura nell'intreccio, una rete ricamata da milioni di dita. Significa seguire una traccia, un ricordo, un'idea che giace sotto quel tessuto e che lo attraversa come se non "esistesse". 
L' Arte del legame, in ogni caso, è cosa ridicola. Ritrae perfettamente
il desiderio inesauribile di creare dal nulla un piedistallo al concetto di "esistenza". La cosa più spontanea è agire nella più totale inconsapevolezza, ma la mancanza di consapevolezza agisce a sua volta per proprio conto, a seconda del caso.
Eppure capita di uscirne approfittando delle cavità interstiziali lasciate indietro dalla distrazione collettiva. Tutto per tracciare un solco in una dimensione alternativa, astratta forse, ma inequivocabilmente vuota.

mercoledì 15 dicembre 2010

Pernety

Un piccolo quartiere che ricorda un paesino sotto natale. Le "luminarie" accese, un via vai generato quasi totalmente dalla presenza della fermata del metrò discretamente inserita ad angolo tra le insegne in acrilico dei negozi. Rimasi pochi istanti davanti ad un portone blu berbero. In una favola surreale sarebbe stato un ottimo accesso diretto al Marocco; nella realtà ad esso non era associato alcun numero civico e spiccava dalla cornice la tastiera per il codice d'accesso. Pressoché tutti i condomini di Parigi adottano questa modalità d'accesso ai portoni principali.

Tuttavia non era quella la tonalità del blu che cercavo.

Ci vediamo da Plougastel, in una viuzza dietro Montparnasse, la migliore creperie parisienne. 

Il viaggio

Poche aspettative, curiosità. C'eravamo ma senza troppo interesse. Il suolo si allontana, mentre intersezioni di nubi rivelano alcune verità. E d'un tratto "oltre" è l'unica parola che mi viene in mente.

Un passo oltre il "già detto" e "già visto", un passo diagonale del quale una perifrasi complessa potrebbe nascondere la semplicità.